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La Scuola, la didattica a distanza e la multimedialità

Fonte:Orizzontescuola.it




Parrebbe scontato affermarlo ma è evidente a tutti che, nell’età della Didattica a Distanza, l’efficacia dell’azione educativa sia stata consegnata, e siamo certi non solo per questi mesi di emergenza sanitaria, alla tecnologia.

Il terzo Millennio che si annunciava come il secolo dell’esplosione tecnologica è, di fatto, da considerare come il secolo nel quale la scuola consegnerà (in parte lo sta già facendo) parte di sé alla didattica a distanza. Cultura, strumenti, tecniche e valori si stanno consegnando alla tecnologia e, nello specifico, alla multimedialità per rendere la didattica in sé e per sé completa a tutti gli effetti.


I segni che hanno anticipato questo momento, apparentemente complesso e certamente inatteso, sono da ricercare, indubbiamente nella ventata di ottimismo, di qualche decennio fa: le LIM, i PC, le aule informatiche (molte andate in disuso per una cavalcante obsolescenza degli strumenti); un vento ottimistico che ha soffiato forte e che ha scosso l’universo educativo, scolastico ed extrascolastico.

E accanto a ciò anche la richiesta, pressante, che fanno gli insegnanti tesa a conoscere non più il come fare, ma il che cosa usare per migliorare (non solo e non già a livello di percezione pedagogica e metodologica) la qualità dell’azione didattica e per renderla sicuramente più efficace e meglio rispondente a quelle che sono le reali esigenze della comunità educante.

Le tecnologie multimediali costituivano (solo fino a gennaio, naturalmente), un capitolo tutto da scrivere del cambiamento della didattica e, in senso lato, della trasformazione delle forme di trasmissione dell’informazione. Il COVID-19 fa cambiar tutto alla scuola italiana ma non solo a quella, naturalmente.


La tecnologia in campo educativo, oggi, ha stroncato sul nascere le ultime reticenze (per la verità ancora qualcuna esiste) a favore di un cambiamento non più procrastinabile della didattica. Una didattica che è la prima a beneficiare del massimo di efficacia nell’uso dei mezzi, procedendo col fissare preventivamente le competenze e valutando criticamente i procedimenti, mettendo in opera, dovunque sia possibile, informazioni sicure e traendo vantaggio dalla conoscenza acquisita delle leggi di funzionamento di ciascuno dei sistemi utilizzati.

Evidentemente c’era davvero bisogno (e nessuno ne parlava così diffusamente) di un’analisi oggettiva della tecnologia, soprattutto di quella il cui impiego nell’educazione sembrava assicurare successo, assegnando a questa un ruolo di vigilanza epistemologica, nel momento nel quale si usano strumenti in ogni caso costruiti dall’uomo, per migliorare la qualità dell’intervento educativo e, più generalmente parlando, formativo.

Pochi, sino a qualche mese fa, erano disposti a far propria la considerazione che nella società che cambia, anche la scuola avrebbe dovuto adeguarsi al cambiamento, almeno, così come stavano ad indicare i percorsi avviati dalle attività sperimentali che invitavano ad organizzare, su basi nuove, il mondo scolastico, aperto sia all’esterno che a persone esterne, al nuovo (all’esistente mai utilizzato) come anche allo sperimentalismo che davvero fa sempre paura agli insegnante incapaci di misurare la reale forza del cambiamento. Nella società odierna, ormai, prescindendo il Coronavirus, si richiede alla scuola che non solo si adoperi per cambiare davvero i suoi contenuti, cioè i suoi programmi (sempre se di programmi si debba continuare a parlare), ma soprattutto che muti la qualità della didattica in una prospettiva tesa a misurare con le abilità e le conoscenze, prioritariamente, le competenze. La scuola è un ambiente educativo, intenzionalmente orientato a realizzare un progetto formativo che potrà essere considerato efficace solo nella misura in cui riuscirà a fornire all’individuo tutti gli strumenti logici, linguistici, emotivo-affettivi, emotivo-relazionali, per interagire, in modo creativo, con l’ambiente che la circonda. La scuola che, finalmente, si immerge nella realtà contingente e ne trae forza, determinazione, beneficio.

In particolare, oggi, si richiede che la scuola metta il nostro studente nella condizione di acquisire valide chiavi interpretative per potere decodificare, con sicurezza e senza tentennamento alcuno, il linguaggio dei diversi media, delle diverse piattaforme utilizzate, in modo da comprendere il significato dei messaggi loro veicolati e farne, così, oggetto di analisi critica. Allora le tecnologie devono entrare nella pratica didattica (ecco perché bene venga la Dad, anche se per quota parte dell’azione didattica, anche a emergenza sanitaria conclusa), integrando l’opera del docente in aula, consentendogli di rendere la sua proposta culturale, anche distesa nei tempi, più avvincente e più efficace per l’alunno; l’uso delle tecnologie, l’uso delle piattaforme (numerose e tutte davvero competitive) devono sempre più divenire non un semplice sussidio (non semplici e sterili strumenti) per l’insegnamento, ma una vera e propria sperimentazione di apprendimento per lo studente, in cui può essere esaltata la sua motivazione ad apprendere, la sua curiosità, in cui può trovare risposta la sua tensione alla scoperta e alla creatività, non solo quella personale ma anche quella dell’intero gruppo classe.

Ciò che si vuole è che l’allievo raggiunga una reale “alfabetizzazione tecnologica” (assicurandosi, però, che si sia raggiunta la piena democrazia di connettività) che gli consenta di non temere le macchine (ma neppure la rete, per la verità), per quanto sofisticate e veloci possano essere, ma di fare del loro uso un’esperienza ricca di significato.

Certamente ciò si richiede maggiormente è che l’educatore comprenda le possibilità e i limiti degli strumenti che usa, nonché gli effetti che essi possono avere, sia sui contenuti informativi, sia sugli studenti. In altre parole, ciò che si chiede agli insegnanti è di comprendere i rapporti che si instaurano tra universo educativo, tecnologie multimediali e la rete. L’azione didattica dovrà, perciò, associare “il sapere alfabetico” con quello tecnico, la sapienza della TV con quello informatico, dischiudendosi ad uno sfondo di multimedialità; la scuola deve diventare un importante ecosistema di comunicazione multimediale; solamente in tale maniera l’uomo potrà divenire interprete del suo tempo, interpretando la grandezza valoriale, nell’interazione tra il presente e il futuro.

In piena crisi sanitaria, all’inizio del terzo decennio del Terzo millennio, ci troviamo immersi in una società eccessivamente complessa, contraddistinta da cambiamenti esageratamente rapidi, da una pluralità di orizzonti di valore e da una complessità di modelli comportamentali, una società nella quale si sono sparsi in modo pervasivo, moderni mezzi telematici, di informazione e informatici che hanno collaborato a agevolare e a rendere veloci le comunicazioni e, perciò, le integrazioni culturali tra religioni, culture e etnie diverse.

I bambini, gli adolescenti, i ragazzi di oggi non sono lontani a tutto ciò: sono bambini, adolescenti e ragazzi ecologici che si interconnettono con la realtà che li accerchia e che, per mezzo delle molteplici relazioni, sovente incompatibili, fissate con i molti elementi del contesto, costruiscono il loro percorso evolutivo che li condurrà a ordinarsi come persone libere, svincolate e, al contempo, molto creative. Condizioni che, precedentemente, difficilmente si potevano realizzare.

Questi bambini, questi adolescenti, questi ragazzi vivono, fin dai primi anni di vita, in un universo culturale stracolmo di stimoli e che, proprio da detta esperienza condizionata, fabbricano le loro idee sul mondo, i loro preconcetti che, nella comunità scolastica, dovranno poi gradualmente confrontarsi con gli spazi disciplinari. I nostri alunni sono incoraggiati oltre ogni ragionevole misura da molteplici principi, spesso in contraddizione tra di loro, che li rendono vogliosi di apprendere, ma anche inadeguati ad orientare la loro curiosità verso un reale interesse e, perciò, di reggere con responsabilità e volontà un percorso di ricerca, addestrati ad essere esperti passivi più che costruttori attivi, esperti voraci e frettolosi.

La scuola ha il compito, specie in questo momento di forte disorientamento, di porre l’allievo nelle condizioni di far propri gli stimoli dell’ambiente, di selezionarli, di ordinarli, di verificarli. Nella scuola delle piattaforme informatiche, dell’aula multimediale, delle nuove regole che disciplinano le lezioni a distanza, si organizza e si riflette, grazie alla mediazione dell’insegnante, su ciò che nell’ambiente si dà in modo frammentato e assai spesso sconnesso.

L’esperienza scolastica formale (per fortuna parzialmente superata dalla rete e dalla TV che diventano contenitori insostituibili, strumentalità didattiche), deve, perciò, essere strutturata in maniera da assicurare la continuità con l’esperienza libera e volontaria che l’alunno fa nell’extrascuola e, perché no, viaggiando e navigando del mare tempestoso – diceva Kant – delle consocenze; i concetti spontanei devono confrontarsi con i concetti scientifici e diventare un modo autentico di vedere la realtà, di dare a lei un significato.

L’alfabetizzazione culturale non consta di una maggiore quantità di informazioni e di conoscenze, ma si pone come strumento di mediazione, elaborazione e controllo di competenze, di abilità e di un’esperienza via via più complessa e, talvolta, anche contraddittoria; un’esperienza che il bambino, l’adolescente e il ragazzo non possono assolutamente comprendere senza gli strumenti ermeneutici ed euristici proporzionati. E di questa esperienza, la tecnologia è, in questo momento storico, parte integrante.

L’uomo vive (talvolta sprofonda) nella tecnologia. È la tecnologia che accompagna, in tutti i momenti della vita quotidiana, l’alunno. Tanto da caratterizzare, totalmente e intensamente, i suoi orizzonti spaziali e temporali.

Introdursi nel mondo moderno, perciò, compartecipare coscientemente alla sua trasformazione non significa patirne, in modo passivo, la presenza. Mai averne paura. Occorre allora promuovere ed elaborare una cultura che dia competenze, conoscenze, abilità, attitudini di tipo nuovo, capaci di mettere l’uomo in grado di capire e di gestire il cambiamento e di “convivere” con gli oggetti con i quali la scienza e la tecnica hanno popolato il nostro mondo. Per “continuare a vivere” nell’odierna modernità, considera il Postman, non è necessario formare un alunno che diventi una “enciclopedia ambulante piena di informazioni sorpassate”. Il vero cambiamento richiede un cambiamento profondo del sistema educativo.

La diffusione delle nuove tecnologie didattiche e la didattica a distanza vanno intese come un modo di produrre occasioni di alfabetizzazione culturale quale elemento nuovo nel processo di insegnamento-apprendimento.

Però, non dimentichi nessuno, mai, che la tecnologia non è tutto, non può essere tutto. Scrive Bill Gates, opportunamente, “Quando mi trovo alle conferenze sull’informazione tecnologica e la gente dice che la cosa più importante al mondo è fare in modo che le persone possano connettersi alla Rete, io rispondo: “Mi state prendendo in giro? Siete mai stati nei Paesi poveri?”.

Ci deve essere, dunque, una grande disponibilità al progresso e, dall’altra, una non minore attenzione a chi non può connettersi e che vive il processo formativo con drammatica difficoltà. Tentare l’uguaglianza sostanziale educativa deve essere l’obiettivo più ambizioso dell’umanità perché, se così non fosse, “in caso di conflitto tra l’umanità e la tecnologia, vincerà l’umanità” comunque, come ha affermato Albert Einstein.

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